In ambito sanitario un evento avverso può provocare danni di varia
gravità o la morte di un paziente.
Il paziente che subisce le conseguenze dell’evento
avverso è la cosiddetta “prima vittima".
Se l’evento avverso è secondario ad un errore, nel caso in cui si
associ a gravi danni per il paziente o addirittura ne causi il decesso, si può
osservare un profondo coinvolgimento emotivo del professionista che ha commesso
l’errore. Questo professionista è la cosiddetta “seconda vittima”.
Da quasi un ventennio la "seconda vittima" (a parte i
risvolti civili o penali) è considerata un soggetto che abbisogna di supporto
umano ed emotivo in quanto persona ed in quanto risorsa per il sistema
sanitario.
Recentemente emergono tuttavia delle nuove “interpretazioni” sulle
attenzioni riservate alla seconda vittima. Dubbi giungono da alcune
associazioni di pazienti (per lo più negli Stati Uniti), ma anche da certa
letteratura medica internazionale.
Le associazioni di pazienti, senza nulla togliere alla dovuta
attenzione da rivolgere ai professionisti coinvolti in eventi critici,
osservano come, a loro parere, la “seconda vittima” possa ricevere più
attenzioni della “prima” inducendo l’errata percezione di un “danno” quasi
casuale e quasi “non prevenibile”.
I familiari delle “prime vittime” osservano che nell’immaginario
collettivo una vittima non ha responsabilità e che il concetto di seconda vittima
sembrerebbe quasi nascondere il fatto che i professionisti possono essere
(anche se involontariamente) soggetti che provocano attivamente un danno o la
morte di un paziente.
Con parole forti, ma assolutamente realistiche, i congiunti di pazienti
deceduti a causa di eventi evitabili affermano di sapere “chi sono le vere
vittime degli errori medici perché abbiamo organizzato i loro funerali e li
abbiamo seppelliti”.
Si suole dire che nella vita contino i fatti e non le parole.
Ma le
parole hanno anche il loro peso. Talora più dei macigni.
Io resto del parere
che il professionista (quasi sempre assolutamente coscienzioso) coinvolto in un
evento evitabile meriti la nostra attenzione ed il nostro supporto.
Potremmo non chiamarlo “vittima”.
Ricordiamoci però dei pazienti, che da noi si aspettano fatti e non
parole.