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Assalto al Pronto Soccorso: il re è nudo ?


Vi ricordate la piacevole fiaba danese scritta da Hans Christian Andersen, pubblicata nel 1837, dal titolo “I vestiti nuovi dell'imperatore” ?
In quella fiaba, ispirata ad una storia spagnola del XIII secolo, un bambino piuttosto sveglio svela la verità che tutti hanno di fronte agli occhi ma si ostinano a non voler vedere, o piuttosto a far finta di non vedere.

Solitamente i medici e gli infermieri non scrivono di favole e non amano le storielle: nell’assalto ai Pronto Soccorso italiani ci rimettono tutti, pazienti compresi.
Il problema: una cospicua fetta di popolazione si riversa nei Pronto Soccorso spinta dall’innato primario bisogno di salute proprio di ogni essere umano, sia si tratti di emergenza, ma anche no.
L’immediato epifenomeno, noto ormai da tempo, è quello di tempi di attesa troppo lunghi, diffusa impossibilità a procedere al ricovero ove necessario, gravi episodi di violenza ingiustificabile.

Come nei film che ci tengono con il fiato sospeso facciamo un passo indietro nel tempo per capire come siamo arrivati a tutto questo.
Forse con una sanità del territorio che non è stata sufficientemente coinvolta.
Forse per una necessaria ma lacerante riduzione dei posti letto.
Forse per non aver saputo disegnare su tutto il territorio un sistema di assistenza diverso dall’ospedale. 
Forse perché non abbiamo saputo spiegare alla nostra popolazione cosa è un Pronto Soccorso né come si “usa”.
Forse (spero di no) perché abbiamo un sistema sanitario che non ci possiamo più permettere.
Abbandoniamo i “forse”, utili solo ad addolcire il concetto, e torniamo ai giorni nostri.

Nel 2010 rispondendo ad un articolo che un quotidiano on line aveva pubblicato relativamente ad un ricovero in barella, scrissi che una barella è meglio di una porta chiusa, che una barella è molto meglio di un Pronto Soccorso che ti chiede la carta di credito per farti entrare.
Adesso, quasi 10 anni dopo, anche una barella è talvolta difficile da offrire ai pazienti che in Italia accedono ad un Pronto Soccorso.
Lo sanno bene tutti i professionisti dell’emergenza. Lo sanno bene anche i professionisti del rischio, quelli che dovrebbero garantire la sicurezza dei pazienti nel loro percorso assistenziale. La sicurezza nelle cure ora è un diritto, la legge 24/2017 (cd. Legge Gelli) lo ha sancito definitivamente. Ma le cure e la sicurezza hanno un costo. Anche salato.

Risparmio ai lettori l’elenco dei pericoli che nascono da situazioni in cui le forze in campo sono troppo esigue per il lavoro che sono chiamate a rendere. Si parla di medicina difensiva, certo c’è anche questa, ma oltre questa e prima di questa, ci sono donne e uomini che hanno accumulato una tale quantità di giorni ferie non godute da averne perso quasi il conto, che hanno da tempo rinunciato al recupero fisiologico della stanchezza e dello stress.

E poi arriviamo noi, “quelli del rischio”, quelli delle “procedure”, quelli che tentano di ridurre al minimo la variabilità di un percorso assistenziale al fine di garantirne la massima sicurezza.
Ma quando la coperta è troppo corta non c’è procedura che tenga. Non c’è barella che possa risolvere magicamente problemi apparentemente insormontabili. Non c’è procedura che possa mettere in totale sicurezza un sistema che ha bisogno di più risorse.

Siamo di fronte ad un problema sociale. Il Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno (2018) ha lucidamente ricordato come il “Servizio sanitario nazionale sia stato ed è un grande motore di giustizia, un vanto del sistema Italia” e che “si tratta di un patrimonio da preservare e da potenziare”.

Il re è nudo !  
Medici e infermieri non possono “rivestirlo” da soli !
Lasciamo le fiabe ai bimbi.
Ognuno faccia la sua parte.

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